Gli anni di Agata, Racconto breve u.u

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» Keiira ~
view post Posted on 5/9/2012, 08:52




Con questo ho vinto un concorso della mia scuola xD Sembra scritto da una vecchia ma non fateci caso, lo posto qui perchè... Perchè mi va u.u
Buona lettura
Gli anni di Agata

Mattina presto. Agata andava, come sempre, al suo lavoro. Prendeva il suo veicolo elettrico (fornitole dalla ditta) e faceva il giro del quartiere.
Era estate.
L'aria era fresca, ma sarebbero bastate un paio d'ore per fare arrivare un'afa terribile. Nonostante l'ora, in giro c'era già parecchia gente. Le famiglie con bambini piccoli riempivano le loro auto con ombrelloni e sedie da spiaggia, e partivano velocemente. Molti portavano a spasso i loro cani, di solito si fermavano al parco che era là vicino. Dei vecchietti mattinieri facevano le loro passeggiate. Dei ragazzini poco studiosi andavano con ogni probabilità ai loro corsi di recupero (lo si capiva facilmente dalla loro espressione). Agata, dato che il suo lavoro non richiedeva particolare concentrazione, poteva permettersi di osservare l'erba che rinsecchiva ai lati della strada, i piccioni che cercavano, come al solito, qualcosa di buono da mangiare in giro, e la gente che passava distratta occupandosi delle proprie faccende. Una volta completato il suo lavoro, Agata ritornava a casa con tranquillità e passava il resto della giornata leggendo un buon libro in veranda o prendendo un tè con le amiche, che non erano amiche qualunque, ognuna aveva qualcosa di speciale in comune con le altre. Quando Agata aveva la mattina libera, faceva un giro in spiaggia e, se si stava bene, ci rimaneva tutto il giorno. A volte aveva compagnia, a volte no.
Passavano i mesi.
Era autunno.
Agata svolgeva ancora il suo lavoro. A quell'ora del mattino stava albeggiando, e tutti i negozi erano ancora chiusi. Solo il bar, il panificio e alcune edicole avevano già aperto. Per strada, pullman somiglianti a scatole di sardine, tanto erano pieni, e gruppi di scolari dai musi lunghi (ma non troppo) e gli immancabili cinofili che facevano una passeggiata assieme ai loro amici a quattro zampe. Agata, dato che il suo lavoro non era stagionale e in ogni periodo dell'anno richiedeva le stesse fatiche, poteva osservare le foglie scure che vagavano per terra mosse dal vento, e quando vedeva le macchie scure degli stormi di rondini nel cielo, sapeva che presto avrebbe dovuto indossare una sciarpa per uscire. Una volta completato il suo lavoro, tornava a casa con tranquillità e leggeva il giornale, oppure andava al cinema assieme alle amiche, con cui aveva un rapporto più stretto che coi parenti. Questi ultimi, infatti, provenivano tutti da famiglie di imprenditori, medici e professori universitari, e non vedevano certo di buon occhio il lavoro di Agata, lo consideravano anzi una sorta di affronto per il loro status sociale. Ma Agata aveva un carattere forte, sapeva ciò che voleva, e sapeva ancora meglio ciò che non voleva (detestava con tutto il cuore le preoccupazioni che poteva evitare) e cercava di non badarci troppo.
Nel frattempo, passavano i mesi.
Era inverno.
Agata lavorava. Era buio e faceva troppo freddo: di certo tutti i passanti in giro a quell'ora lo erano perchè costretti. La città era illuminata quasi a giorno in alcune zone, mentre era totalmente buia in altre (probabilmente si era rotto qualche lampione). Gli alberi ai lati della piazza erano ancora pieni di arance, che probabilmente sarebbero finite presto in terra, mentre chi abitava in zona avrebbe mangiato altre arance, provenienti da ogni parte del mondo ma piene dello stesso smog. I gruppi di scolari a piedi erano più radi, chi poteva si faceva dare un passaggio, chi non poteva si limitava ad accelerare il passo. Un tizio portava a spasso almeno una decina di cani, probabilmente quel giorno era di corvée per tutto il vicinato. Anche Agata non trovava certo piacevole il gelo che la colpiva in pieno viso (unica parte che poteva essere colpita), ma la prendeva con filosofia: se per guadagnarmi da vivere devo solamente soffrire un pò di freddo, lo faccio volentieri, pensava, mentre con diligenza svolgeva il suo lavoro, poteva andarmi peggio. Dopodiché, senza troppa fretta, tornava a casa e si preparava un piatto caldo, e spesso invitava il suo gruppo di amiche, dato che lei aveva la stufa più grande e meglio funzionante. Agata e le sue amiche avevano molte cose in comune, ma quella più importante era aver sfidato le piccole tradizioni che si erano create nelle loro famiglie. C'era la scrittrice che proveniva da una famiglia di cuochi e camerieri, la professoressa nata in una famiglia di operai, l'eterna studentessa che collezionava lauree (ne aveva ben quattro e si avvicinava alla quinta) cresciuta in una famiglia di contadini che a malapena avevano frequentato la scuola dell'obbligo, e così via. Per questo loro potevano capire Agata, ed erano tra le poche a non considerare per nulla umiliante il suo lavoro.
Nonostante tutto, passavano i mesi.
Era arrivata la primavera.
Il tempo faceva i soliti capricci, ma Agata era contenta che per lo meno ci fosse la luce solare a illuminare la città. Il vento che faceva frusciare le piante e il verso dei corvi davano un'aria quasi fiabesca al suo quartiere. La gente ogni tanto si arrischiava a mettere il naso fuori di casa a quell'ora, e i soliti studenti andavano a scuola un pò (molto) svogliati per la fatica che si faceva sentire e un pò contenti perchè almeno stava per finire. I passanti che portavano in giro i loro cani ne approfittavano per fare due chiacchiere con i loro "colleghi". La quiete era interrotta ogni tanto dal rumore di qualche tosaerba.
Agata amava il suo lavoro e lo compiva impeccabilmente tutti i giorni, ma in particolare apprezzava questo periodo pieno di serenità, proprio come lei, che non si faceva toccare dalle opinioni altrui e dai loro luoghi comuni. Il suo lavoro le permetteva di vivere la vita come lei desiderava, non rincorrendo affannosamente chissà quale astruso obiettivo, ma vivendo giorno per giorno e senza troppe pretese le piccole gioie della quotidianità, come una giornata di sole, una chiacchierata con le amiche, una passeggiata sulla spiaggia. Queste piccole gioie erano le uniche, a suo avviso, capaci di rendere migliore il mondo.
Per Agata gli anni passavano così. Sapeva bene che non sarebbe mai riuscita a cambiare le idee dei suoi familiari, attaccati com'erano alle loro convinzioni e convenzioni, e non si sbilanciava più quando sentiva i loro commenti, li ignorava semplicemente. Agata capiva che dal loro ristretto punto di vista non potevano neanche immaginare cosa volesse dire per lei il suo lavoro: l'indipendenza dai capricci dei ricconi o dei politici o dei criminali (che a volte erano tutte e tre le cose insieme), l'assenza di quelle preoccupazioni dovute agli alti e bassi dei mercati e dell'ansia di non sapere se il lavoro che si compie ogni giorno con tanta fatica serve davvero o meno alla collettività... Tutto ciò che Agata desiderava (e che era riuscita a ottenere) era una serenità che le permettesse di osservare il tempo..
Il lavoro di Agata consisteva nello svuotare quel centinaio di cestini pubblici che c'erano nel suo quartiere.
 
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